La storia del Brigante Gasperone

Tra la fine del 1700 e la metà del 1800, la cronaca sul brigantaggio nel Lazio, riporta un lungo elenco di omicidi, rapine e assalti perpetrati nei luoghi più impervi della “Macchia della faiola”. Era in vigore il governo del Papa Re Leone XII che aveva in uso la pena capitale e parecchi briganti erano condannati al “taglio della testa e squarto”. Nell’ elenco delle esecuzioni legate al brigantaggio risultano diversi esponenti de “I briganti della Faiola”, capeggiati dal famigerato Gasperone. Il brigante Gasperone, al secolo Antonio Gasbarrone, nato a Sonnino il 12 Dicembre 1793, divenne un fuorilegge nel 1816 dopo aver pugnalato il fratello della sua amata; si diede dapprima alla macchia al seguito del brigante detto Calabresotto per poi divenire capo della banda da lui stesso costruita. Deve la sua fama al fatto che visse molto a lungo, al suo carattere gioviale, cameratesco e mai sanguinario- almeno nei confronti di pastori e contadini- che lo portò ad avere dalla sua parte la popolazione locale, ma anche alla sua lunga prigionia. Ben vestito, circondato da una banda spietata di briganti, Gasperone infestava da anni le strade che dal Regno di Napoli conducevano a Roma. Fra i ruderi degli acquedotti romani, il brigante di Sonnino si accaniva sui pellegrini e viaggiatori facoltosi. In cima alla lista dei ricercati dalla polizia pontificia gli venivano addebitati ben 126 omicidi oltre ad una sfilza sconfinata di reati. Il brigante, ormai braccatio dalla polizia e dai traditori, piuttosto che morire ammazzato, scelse il 23 Settembre 1825 di passare il resto della sua vita in una cella, assicurandosi anche un trattamento carcerario di favore, clausola questa inserita tra le condizioni della resa. Gasperone e i suoi briganti furono rinchiusi a Castel Sant’Angelo, da dove uscirono solo nel 1870 in seguito alla caduta dello stato pontificio e con l’ Unità d’Italia. Si ricorda la presenza ad Ariccia del brigante Gasperone quando s’impadronì di Palazzo Chigi e del retro che si stende nel bosco ariccino, caratterizzato da alcune grotte, che costruirono per lungo tempo il suo rifugio. I Chigi, infatti, avevano creato nel parco delle grotte, usate come deposito per la neve che veniva stipata d’inverno, per freddare le bevande durante il soggiorno estivo dei principi. Alcuni credono che Gasperone abbia seppellito in una di queste grotte il suo favoloso tesoro prima di essere condotto delle carceri pontificie, altri sono convinti che sia stato invece momentaneamente rinchiuso proprio nei locali che oggi ospitano questa fraschetta. Ne sarebbe testimonianza anche la presenza a palazzo Chigi di un suo ritratto, eseguito dal vero il 23 Settembre 1825 da un artista francese ospite della Locanda Martorelli. Rifiutato, tuttavia, dal suo paese d’origine condusse gli ultimi anni dellla sua vita nel quartiere romano di Trastevere, finchè, non godendo delle simpatie delle autorità civili ed ecclesiastiche, fu inviato a trascorrere i suoi ultimi giorni nel nord Italia dove morì nella città di Abbiategrasso il 1 Aprile 1880.